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[Risolto] Limite di integrale definito

  

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Il fatto che faccia 0 direi che si vede a occhio, vorrei però sapere quali sarebbero i passaggi "formali" per poterlo affermare, si può passare il limite dentro all'integrale in questo caso?

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Ho pensato erroneamente ti poter potare dentro  all'integrale il limite. Effettivamente era molto più semplice di quello che ho pensato, mi sono andata a complicare da sola, ora ho capito, grazie! 

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E COSI' A OCCHIO DIRESTI UNA "sullènne minchiàta" (Camilleri).
I seguenti passaggi formali negano la possibilità di affermarlo.
* f(t) = t
* F(t) = ∫ f(t)*dt = ∫ t*dt = t^2/2 + c
* I(f, a, b) = F(b) - F(a) = b^2/2 - a^2/2 = (b + a)*(b - a)/2
* ∫ [t = 0, 1] t*dt = I(f, 0, 1) = (1 + 0)*(1 - 0)/2 = 1/2
* lim_(t → 0+) ∫ [t = 0, 1] t*dt = lim_(t → 0+) 1/2 = 1/2

 @exProf ti vorrei chiedere una curiosità se mi puoi rispondere: alcuni giorni fa mi sono imbattuto in un testo in pdf in cui si diceva: "adottando il consueto abuso di notazione, scriviamo che $\int f(x) \,dx = F(x)+c$, avendo messo tutte le ipotesi di integrabilità in un intervallo ecc. ecc. 

Domanda: dove sta l'abuso di notazione? A me hanno sempre insegnato così, sia quando ho studiato la misura di Riemann che quella di Lebesgue. Quale sarebbe il formalismo matematico "giusto" da adottare? Spero non sia una notazione insiemistica del tipo "tutte le F(x) tali per cui f(x)=F'(x)" perchè mi pare un'ovvietà disarmante...

grazie mille

Ciao

@Sebastiano
dovresti darmi il link al PDF che hai trovato perché io sono un po' lento di comprendonio e non riesco a farmi opinioni chiare senza un abbondante contesto.
Io, studiando sul trattato Picone & Fichera (+ le lezioni di G. Fichera + le esercitazioni con la M.G. Platone Garroni; M. Picone lo incontravo solo nel corridoio), non ho mai sentito nomi di matematici che non fossero Gauss e Dini (il professore di Picone), nemmeno Pitagora: Riemann e Lebesgue li sentii nominare solo a San Pietro in Vincoli, non nell'Istituto Guido Castelnuovo.
Però tutt'e tre i miei numi tutelari di Analisi (Maria Giovanna, Gaetano e Mauro) erano concordi nell'incorporare la costante additiva DENTRO la F(x), cioè nell'affermare che l'operazione "∫ f(x)*dx" genera la famiglia di TUTTE le possibili primitive dell'integranda.
Da questo punto di vista (che però risalendo al second'anno, nel 1958, potrebb'essere un po'datato) può darsi che l'abuso di notazione sia nello scrivere
* ∫ f(x)*dx = F(x) + c
invece di
* F(x) = ∫ f(x)*dx + c
NON M'AZZARDO A DIRE NULLA DI PIU'.

@Sebastiano

ho letto l'articolo di Garofali e non credo che sia applicabile la mia inerpretazione perché per lui F(x) non è l'insieme delle primitive come per i miei numi e per me, ma è una sola primitiva qualunque "... data F tale che F' = f su I, ...". Così mi trovo come te: non mi rendo conto di quale sia "... il classico abuso di notazione ...".

Spiacente di non essere stato utile.



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Cosa c'è all'interno dell'integrale? 

Forse $t$? E il $dt$ dove te lo sei perso? Non lo puoi trascurare, fa parte integrante della scrittura. Anche perché ti si potrebbe chiedere cosa succederebbe se tu integrassi rispetto ad una variabile diversa da $t$.

@ariana_abrile Allora ti faccio una seconda domanda: Sei sicura del testo?

Perché l'integrale fra $0$ e $1$ di $t$ in $dt$ fa 1/2 e quindi il limite fuori dell'integrale non ha senso di esistere. E qui ti chiedo ragione del fatto che tu scrivi: "si vede ad occhio che fa 0". Perché? Dove lo vedi?

 

Si ho dimenticato di scriverlo, è integrale di t dt

 



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